Perché lo consigliamo?
Perché è un saggio breve ma straordinariamente denso che trasforma l'attesa - esperienza universale spesso vissuta con fastidio - in un'occasione di profonda riflessione. Andrea Köhler riesce a intrecciare magistralmente filosofia, letteratura e vita quotidiana con uno stile limpido e mai pedante, offrendo al lettore una prospettiva completamente nuova su questa condizione umana fondamentale. Il libro ci insegna a valorizzare l'attesa non come tempo sprecato, ma come "un dono da coltivare con cura", aiutandoci a riconoscere la ricchezza nascosta in questi momenti sospesi della nostra esistenza.
Cosa ci è piaciuto di più?
La straordinaria capacità dell'autrice di collegare episodi intimi e personali con riferimenti colti (da Barthes a Nabokov, da Kafka a Beckett), rendendo il testo simultaneamente accessibile e profondo. Particolarmente affascinante è il modo in cui l'attesa viene raccontata non come vuoto da colmare, ma come spazio fertile dove possono germogliare pensieri, desideri e trasformazioni interiori. La scrittura ha tratti poetici e filosofici che guidano il lettore in un percorso di scoperta, trasformando ogni pagina in un'occasione di introspezione e crescita personale.
Cosa ci è piaciuto meno?
La brevità del saggio che lascia il desiderio di approfondimenti maggiori su intuizioni particolarmente illuminanti. Ma è anche questo che ci ha fatto apprezzare questo libro: la possibilità di approfondire e di capire di più.
Frase da sottolineare:
"Aspettare è un’imposizione. Eppure è l’unica cosa che ci fa percepire fisicamente il logorìo del tempo e ce ne fa conoscere le promesse. Esistono infinite forme di attesa: in amore, dal medico, alla stazione o nel traffico. Aspettiamo: l’altro, la primavera, i numeri del lotto, un’offerta, il pranzo, la persona giusta, e aspettiamo Godot. I compleanni, i giorni di festa, la felicità, i risultati sportivi, un referto. Una telefonata, il rumore della chiave nella toppa, il prossimo atto e la risata dopo il finale di una barzelletta. Aspettiamo che un dolore smetta e che ci colga il sonno o che il vento si plachi. Inerzia, distrazioni o noia: nel registro delle ore programmate, l’attesa è la pagina vuota da riempire. Che nel migliore dei casi ci ricompensa con la libertà.
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L’essere umano è l’animale che aspetta, capace di anticipare la morte. Ma come la scomparsa degli intervalli e la riduzione dei tempi di attesa contribuiscono sempre più a evitare l’imprevedibile, così anche gli addii si sono adattati a questa assenza di pause, mutando lo scenario del morire. Un tempo, in ogni addio si nascondeva una piccola morte, ovvero la possibilità di non rivedersi più. Ma da quando la tecnologia ha instaurato quella connessione costante che ci lega al cordone ombelicale della reperibilità, non riusciamo quasi a immaginare che un giorno non ci saremo più. L’attesa però è una condizione in cui il tempo trattiene il fiato per ricordarci la morte. Il suo motto non è: Carpe diem, ma: Aspetta, fra poco riposi anche tu.”
Questa lettura ci viene consigliata da Manuela Costantini .
Scritto originariamente in tedesco con il titolo Die geschenkte Zeit, il saggio è stato tradotto in italiano da Daniela Idra e pubblicato da ADD Editore, prima nel 2017 con una versione riedita nel settembre 2022