La nostra cinquina ideale per il Premio Strega 2025

Anche quest'anno proviamo a fare la nostra previsione per i finalisti al Premio Strega 2025.
Tra storie vere e inventate, ricostruzioni biografiche, saghe e viaggi interiori se ne esce toccati, scossi, talvolta spiazzati. Il filo che abbiamo seguito — quasi naturale — è stato quello delle crepe: familiari, storiche, affettive, intime.
Ed ecco, in rigoroso ordine alfabetico, la sestina (perché l'articolo 7 del regolamento del Premio prevede la presenza di almeno un libro pubblicato da un medio o piccolo editore nella graduatoria finale e ce ne abbiamo messi due) che, a nostro avviso, ha saputo meglio raccontare questo tempo fragile e stratificato.

L'ANNIVERSARIO – Andrea Bajani (Feltrinelli)
Perché ci sono
romanzi che non alzano mai la voce eppure gridano forte. Bajani ha scritto
un'opera "scandalosamente calma" (citando Carrère), sul peso della famiglia,
sul tentativo di rompere un legame senza riuscirci mai del tutto, sulla
consapevolezza che ci si può "liberare".
Perché è un romanzo che non offre riconciliazioni facili e perché "A dieci
anni dalla fuga, la voce del padre era ancora lì."

POVERI A NOI – Elvio Carrieri (Ventanas)
Perché a vent'anni,
Elvio Carrieri scrive con una maturità rara e uno sguardo spoglio di retorica.
La sua Bari è viva, dolente, piena di slanci e fratture. L'amicizia tra Libero
e Plinio è un nodo emotivo che resiste al tempo, finché l'amore non lo
scardina.
Un esordio che sa essere duro e tenero insieme, pieno di dignità e di vita. "Avevamo
sedici anni, e una cosa del genere non ci sarebbe più successa."

DI SPALLE A QUESTO MONDO – Wanda Marasco (Neri Pozza)
Perché l'autrice ci riporta nella Napoli dell'Ottocento e ce la mostra con occhi contemporanei. Il romanzo è ispirato alla vita del medico Palasciano, ma al centro c'è sua moglie Olga: fragile, ferita, incancellabile. Perché il corpo e il dolore diventano spazi simbolici di una donna che, curata da tutti, non guarisce mai del tutto. "Salvare non basta, se non si ama fino a scomparire."

CHIUDO LA PORTA E URLO – Paolo Nori (Mondadori)
Perché è un romanzo
che è un omaggio a Raffaello Baldini ma anche alla lingua come corpo vivo,
incandescente. In bilico tra poesia e narrazione, tra ironia e dolore, è un
esercizio di voce: quella del dialetto, quella dell'autore, quella che rimane
anche quando si chiude la porta.
"Quando scriveva, era come se respirasse in un altro modo."
Perché è un romanzo che urla piano, ma a lungo.

INVENTARIO DI QUEL CHE RESTA DOPO CHE LA FORESTA BRUCIA – Michele Ruol (TerraRossa)
Perché è un esordio
che sa di cenere, di lutto e resistenza. Perché è un racconto spezzato che
cerca di nominare l'inenarrabile. E lo fa in maniera magistrale.
Perché è la storia di Padre e Madre dopo la fine del mondo. Perché "Anche la
casa, anche le pareti, sembrano voler dire qualcosa." E perché "anche quando
sembra tutto bruciato, qualcosa resta. Qualcosa si può ancora dire."

QUELLO CHE SO DI TE – Nadia Terranova (Guanda)
Perché ogni
genealogia porta con sé un'eredità invisibile, e a volte quell'eredità
attraversa generazioni come un'ombra. L'autrice scava nei silenzi familiari,
tra l'infanzia, la maternità, il manicomio e la paura di diventare qualcun
altro: "Non posso permettermi di impazzire."
Perché è un romanzo stratificato, sensibile, che affronta il nodo della salute
mentale con consapevolezza e grazia.
Tutti gli altri romanzi per noi sono al settimo posto, a pari merito. E ci auguriamo che queste storie — tutte — continuino a circolare, a farsi domande. Perché all'inizio parlavamo di tempo fragile e di crepe. E, come diceva Cesare Pavese, "Il tempo guarisce tutto. No, il tempo non guarisce niente. Passa, e basta. Passando scava, consuma, corrode. A volte, fa fiorire."